DU’ PAROLE, SAN GIUSEPPE
sulla scia della lettera apostolica Patris Corde
di Tìndara Rasi
“L’uomo che una mattina d’incerta primavera, in un paese del Medio Oriente vicino al confine siriaco, spingeva un asino carico di legname e di attrezzi su per una strada locale, non aveva nulla in grado di attirare l’attenzione.”1
Ma fu l’uomo della svolta. L’anonimo della rivoluzione.
Di quale rivoluzione?
Di quella sociale e familiare.
Di quella universale, ecumenica, mondiale.
Per questo, due sono le parole che mi colpiscono, in relazione alla figura di San Giuseppe.
La prima è “giusto”.
I giusti sono coloro i quali vanno controcorrente, scardinano le abitudini, le scelte ideologiche e politiche, la vita sociale. Dopo un momento di iniziale titubanza, Giuseppe prese come sposa una ragazza incinta. Non la fece lapidare, non ripudiò la sua fidanzata: la sposò.
Non era quello, l’uso comune del tempo.
“Per comprendere il comportamento iniziale di Giuseppe nei confronti di Maria, dobbiamo entrare, almeno sommariamente, nel mondo delle usanze matrimoniali dell’antico Israele. Il matrimonio comprendeva due fasi ben definite. La prima consisteva nel fidanzamento ufficiale tra il giovane e la ragazza che solitamente aveva 12 o 13 anni. La ratifica di questo primo atto comportava una nuova situazione per la donna: pur continuando a vivere a casa sua all’incirca per un altro anno, essa era già ‘moglie’ del suo futuro sposo e per questo ogni infedeltà era considerata già adulterio. La seconda fase invece comprendeva la solenne celebrazione nuziale col trasferimento festoso alla casa dello sposo, secondo quella vivace sceneggiatura di luci, canti, danze, banchetti evocata anche da Gesù nella sua parabola delle vergini stolte e sagge (Matteo 25, 1-13). Il racconto che abbiamo prima letto si colloca appunto nella prima fase, quella del fidanzamento: «prima che andassero a vivere insieme», Maria «si trovò incinta».”2
Giuseppe superò i pregiudizi: rivoluzionò un modo di pensare, diede un balzo in avanti alla storia umana. Prima si faceva così, si ripudiava la fidanzata rimasta incinta da non si sa chi, la si lasciava addirittura lapidare a morte, a colpi di pietre sul cranio. Dopo, non tutti, ma certamente alcuni, si rifecero alla sensibilità di Giuseppe, alla sua nuova logica sociale. Si può abbandonare al proprio destino una ragazza incinta che lo è per azione dello Spirito Santo? Se lo chiese, certamente, Giuseppe. E dopo di lui, chissà quanti iniziarono a fare il suo stesso tipo di ragionamento.
San Giuseppe era un precursore innovativo degli stili sociali della zona. Lui sognava. Era una sorta di uomo che vedeva “oltre” le realtà contingenti. I suoi sogni, le sue preveggenze, i segnali degli angeli che lo guidavano, lo portarono a scegliere in diverse occasioni, strade nuove e diverse.
Lo fece, scappando in Egitto dall’oppressione di Erode.
Ma lo fece anche simbolicamente aprendo quella nuova moda sociale.
Non era un performer, non era un influencer, non era politico; era un uomo sano, concreto, solido, quotidiano. Questi sono i giusti dei pogrom che salvano vite. Lui salvò quella di Maria, fece la scelta controcorrente che nessuno si aspettava. Chi salva una vita, salva il mondo intero...
A indirizzarlo verso quella scelta fu la sua coscienza. Un sogno è la coscienza parlante. Un angelo è il grillo parlante di Dio.
“- Ascolta, Giuseppe, figlio di Davide e Acaz, di Ezechia e di Giacobbe. Egli ti chiede: vuoi tu, che hai fatto la rinuncia insieme a lei, rimanere presso di lei come l’ombra del Padre...? Acconsenti?
Giuseppe sedette di nuovo. Il profumo del fiore si spandeva verso di lui nell’oscurità. Sul suo capo scintillavano le stelle. Il silenzio regnava. Si passò le dita sul viso, come ad assicurarsi che non avesse cambiato la sua forma.
- Ci riuscirò? – sussurrò. – La amo tanto…
- Prendila in casa tua…
Le ultime parole risonarono nel silenzio. Quando si levò in piedi… strinse le mani al viso. Aveva pregato tante volte nella vita: «Rivelami, Signore, la Tua volontà, indicami quel che devo fare. Attenderò paziente il tuo comando». Aveva atteso tanti anni. Gli pareva di sapere che cosa stesse aspettando. Quello che attendeva era giunto.”3
Giuseppe era pronto a quella rivoluzione silenziosa. Era pronto al suo ruolo di “giusto” in mezzo agli ingiusti.
Maria disse:
“La mia coscienza è chiara solo su un punto. Il dolore, che nessuno proibisce ad una madre. Questa è la preghiera che ho innalzato fin dal primo momento della tua esistenza su questa terra: «Signore, fa’ che in questo seme di luce che mi hai donato, mi sia resa comune anche la parte dell’ombra.»”4
Così pensa la Madre di Dio della sua stessa vicenda.
Lo stesso valse per il suo sposo Giuseppe. Uomo giusto, guidato da una coscienza giusta, che non rifiuta la tenebra, l’onta, la derisione comune, il coraggio di far valere la sua scelta nonostante tutto. “In questo seme di luce che mi hai donato, mi sia resa comune anche la parte dell’ombra”, per lui si capovolge: “In questa parte dell’ombra, accolgo la luce che mi hai donato”. Nell’ombra, nell’oscurità più fitta, lui vide la luce, vide ciò che gli altri ancora non vedevano, compì il miracolo di stravolgere la storia umana, di sovvertire le regole comuni.
Gli dice la sua sposa salvata dall’onta:
“Le profondità del firmamento, o mio amato, non ci sgomentano: sgomentano chi crede solo nelle tenebre.”5
Giuseppe non parla. Nelle tenebre, riflette. Ha i suoi giusti timori.
“Guardo queste pareti scrostate, e non scorgo nulla. So che di fuori, più che una casa, sembra una tana. E non sono tane per esseri umani, anzichè per le bestie, queste dimore? Per terra ci sono i resti del becchime di una gallina. L’aria entra tiepida o fresca, ora è freddo, un lume balugina a una casupola che come questa poggia su una sporgenza della roccia… Avrei voglia di affacciarmi, ma la vista dello stellato mi dà spavento. Mi fa capire quanto sia grande la nostra solitudine in mezzo a queste luci impossibili…”6
Ragiona. Agisce. Scava e scova luce. E se qualche volta crolla sotto il peso di una portata storica epocale, in questo tramestio interiore, in questo scavalco delle idee comuni, gli è a fianco Maria.
“ -Sta solo a te dire sì o no. Dovresti capirlo, tu che hai saputo rispondere alla voce di un sogno. È allora che si decide tutto; il resto conta come tante cose del mondo: il tragitto del tempo, le stagioni, i temporali -. La voce era decisa: - Non dovrei essere io a dirtelo. La tua non è stata rassegnazione, ma consenso. Virtù. E non ti resta che continuare come hai fatto: obbedire.
- D’accordo. Ma fino a quando?
- Non lo so. Nessuno ha mai contato le stelle di una notte. Le stelle sono come gli anni della nostra vita. Ma l’infinito, l’incomputabile, sta ancora più in là.”7
“[…] - Che Dio, che è il solo che può farlo, ti illumini sempre.”8
Dio illumina lui, per salvare il Figlio e Maria.
Si dice sempre che sia Giuseppe l’uomo del silenzio, del passo indietro, dell’ombra. Per me è esattamente il contrario. San Giuseppe è l’uomo che “usa” l’ombra per fare luce.
Spesso, anche ora a distanza di secoli, nell’epoca tecnologica e scientifica, continuiamo a cercare consolazione nelle situazioni più tristi delle nostre vite comuni, dicendoci che in ogni cosa che accade dobbiamo intravedere un segno di Dio che agisce per il nostro bene. Volgi al bene, il male che ricevi. Non lasciartene intaccare. Così pensiamo, così diciamo a chi subisce un’onta, a chi sta male, a chi soffre, a chi implode.
Giuseppe, l’uomo rivoluzionario, per atto concreto fece lo stesso: usò l’ombra per proteggere, per amore. Volse al bene, il non concepibile sociale.
Sembra un paradosso, ma non lo è.
L’ombra serve a nascondere, a non far vedere, per avarizia cupiscente di beni personali e materiali.
A San Giuseppe l’ombra, l’altra parola usata in Patris Corde da me presa in considerazione, servì per proteggere la luce, l’evidenza, l’immateriale divino.
Non tenne nascosti Maria e Gesù per concupiscenza personale, per uso egoistico possessivo. Li tenne fuori dall’ombra dei riflettori, affinché fossero luce per gli occhi di pochi che potevano interpretare, in futuro, le loro vicende familiari sotto una nuova descrizione sociale. Avvolse Maria incinta sotto il suo mantello, proteggendola dai mormorii, dagli sguardi indiscreti, dai pettegolezzi e dagli scandali. Il suo silenzio non fu il silenzio dello sciocco, del cretinotto. Fu un silenzio di stile. Di cavalierato. Di garbo. Di bon ton. Mi domando: intorno a lui ci fu chi capì, chi approvò non per una soggezione da rabboniti compaesani che evitarono di parlare male di lui e di sua moglie, perché potevano scatenare le sue maschie ire? Ci fu chi approvò il suo fare? Qualcuno capì cosa fece e perché lo fece?
Già. Appunto.
Perchè lo fece?
Non lo fece per buonismo, per semplicità d’animo, per basso livello culturale. Lui capì. Capì che era in atto una rivoluzione, per mano sua. Una di quelle che segnano le epoche culturali, che demarcano i passaggi storici. Gli uomini non sono dei cavalieri e con le donne hanno poca pietà, nessun rispetto persino in epoca moderna, figurarsi allora.
Ma Giuseppe poteva salvare un bambino, poteva e doveva salvare una donna, poteva mostrare all’umanità una nuova rotta da percorrere, voluta da Dio. La strada della compassione, della tolleranza, del rispetto, della finezza culturale. Lo fece non per salvare la sua reputazione o quella dei suoi cari, non solo per quello. Lo fece per un fine più alto e nobile, per consegnare al mondo, cioè alla società, la rivoluzione della salvezza, la lenta modifica di una mentalità patriarcale e animalesca. Nell’ombra della discrezione, volse le sorti filosofiche, etiche, morali di un popolo e dell’intera umanità verso una concezione più umana e rispettosa della vita, una che iniziò a rispettare di più le donne e la fedeltà della vita coniugale vista con altri parametri, non con quelli dell’onore atavico del possesso verginale, altrimenti morte sia.
Perchè usò proprio l’ombra? Per diventare uomo “giusto”? Per vanagloria personale? Volgere il male al bene è così facile, così educatamente sociale, così adatto all’establishment di un certo ceto, al politically correct di una certa mentalità etica. Ma Giuseppe non era costretto da nessuna forma mentis. Non lo fece per sport. Non lo fece per moda.
La usò per quel motivo che tutti oggi conosciamo e che allora era soltanto inizio, tenebra e notte.
La usò perché tutti sapessero, dopo. Non della sua vicenda familiare, non di sua moglie incinta prima del tempo. Ma di cosa guardare oltre quel quadretto nella grotta, oltre quel soggetto velato dal cuneo di chiaroscuro. Usò l’ombra per convogliare tutta la luce su quel passaggio mentale, su quel nuovo obiettivo storico-antropologico-culturale. Lo usò nascondendo se stesso e la sua famiglia terrena, perché fosse centrale l’argomento della tesi, perché gli occhi e lo sguardo si concentrassero su quel punto focale di un’altra trinità. Quella non visibile, quella difficile da scandagliare, quella oltre la vista umana. La Trinità, l’altra famiglia, l’altro Verbo celeste nel Verbo terreno. Usò l’ombra come un mantello per proteggere Maria, per proteggere Gesù, per proteggere l’umanità terrena, così soggetta alle mode del mondo e alla loquacità pettegola, dando spazio all’evento ultraterreno unico e ultimo, affinché si compisse ciò che era da sempre scritto: “Sii adorato tra gli uomini / forma trimunere, Dio”9.
Tìndara Rasi
1 “Come il tragitto di una stella. Giuseppe di Nazareth: sogno, amore e solitudine”, Ferruccio Ulivi, Ed. San Paolo 2005, pg. 13
2 “I Vangeli di Natale. Una visita guidata attraverso i racconti dell’infanzia di Gesù secondo Matteo e Luca”, a cura di Gianfranco Ravasi, Ed. San Paolo, 1992, pg. 68-69
3 “L’ombra del padre – Il romanzo di Giuseppe”, Jan Dobraczynski, cap. 17
4 “Come il tragitto di una stella. Giuseppe di Nazareth: sogno, amore e solitudine”, Ferruccio Ulivi, Ed. San Paolo 2005, pg. 174-175
5 “Come il tragitto di una stella. Giuseppe di Nazareth: sogno, amore e solitudine”, Ferruccio Ulivi, Ed. San Paolo 2005, pg. 133
6 “Come il tragitto di una stella. Giuseppe di Nazareth: sogno, amore e solitudine”, Ferruccio Ulivi, Ed. San Paolo 2005, pg. 138
7 “Come il tragitto di una stella. Giuseppe di Nazareth: sogno, amore e solitudine”, Ferruccio Ulivi, Ed. San Paolo 2005, pg. 136
8 “Come il tragitto di una stella. Giuseppe di Nazareth: sogno, amore e solitudine”, Ferruccio Ulivi, Ed. San Paolo 2005, pg. 135
9 “Il naufragio del Deutschland”, di Gerard M. Hopkins