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giovedì 2 novembre 2017

IL GIORNO DEI MORTI
di Tindara Rasi
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Il giorno dei morti è una riccorrenza prettamente cristiana. Durante questo giorno particolare si prega in suffragio per le anime dei defunti e ci si reca in visita ai cimiteri per accendere i lumini alle tombe dei propri defunti o semplicemente per portare i fiori ad essi. 
Ma in Sicilia è anche una festa dei ragazzi molto sentita per l'aspetto simpatico che essa assume. Tra il primo e il 2 novembre è infatti consuetudine regalare ai bambini dolciumi specifici, i cui nomi e le forme ricordano sembianze umane o frutta. Il fervore religioso dei bambini che pregano per i loro parenti defunti nei giorni precedenti, "merita" infatti una ricompensa che incentivi questa loro pratica pia, ma la particolarità di questa ricompensa è che essa proviene direttamente dall'Aldilà. Sono perlopiù i nonni defunti, il cui affetto e ricordo è vivo nei piccoli nipoti, a recare in dono in quella notte regali, giochi, ma soprattutto l'ambìto e atteso vassoio di dolci di pasta secca. I bambini ne sono consapevoli, e attendono con trepidazione questa ricorrenza festaiola. 
Nata probabilmente dalla necessità di spronare ad offrire preghiere in suffragio per i propri morti fin dalla più tenera età, l'usanza è largamente diffusa in tutta l'isola. Nel vassoio di dolci secchi, variopinto e caratteristico, la stesa di frutta martorana ha la parte predominante. L'impasto di farina, zucchero e mandorle, permette la realizzazione dolciaria di un composto semimorbido, di lunga durata, detto "pasta reale". Esso è talmente dolce da dover essere mangiato a piccoli pezzi per volta. Manipolandolo ad arte, gli esperti pasticcieri siciliani creano composizioni di frutta che sono dei veri e propri capolavori artistici, quasi delle sculture. Le forme di mele, arance, fichi d'india, mandarini, ciliegie, appaiono molto somiglianti alla frutta originale. La pasta martorana può essere lasciata in bianco, nel suo colore naturale, oppure rivestita con coloranti naturali, il cui effetto risulta di alto impatto visivo, molto brillante.
La tradizione narra che la pasta reale sia nata nel convento delle monache situato presso la chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio, a Palermo. Questo edificio religioso fu costruito nel Medioevo da Giorgio D'Antiochia, un ammiraglio di fede ortodossa al servizio presso il re normanno Ruggero II, e oggi fa parte dell'Eparchìa di Piana degli Albanesi (chiesa italo-albanese, di rito bizantino). Eretto vicino ad un monastero benedettino fondato da una nobildonna, Eloisa Martorana, per estensione è oggi conosciuto più come la chiesa delle monache della Martorana, che non come Santa Maria dell'Ammiraglio. Nel convento annesso nacque la pasta, oggi riconosciuta dal Mipaaf (Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali) come prodotto agroalimentare tradizionale (P.A.T.), denominata "pasta martorana" o "pasta reale".
Anche il nome "reale" ha a che fare con un'altra storia della tradizione palermitana. Si narra, infatti, che in occasione della visita del re Carlo V, nel 1537, le monache vollero far apparire il loro giardino ricco di frutti e ben curato agli occhi del regnante. Ma a giugno gli alberi non avevano più molti frutti. E dunque le monache realizzarono delle accurate riproduzioni di frutta con la pasta martorana, appendendole ai rami degli alberi del giardino, che improvvisamente si riempirono di frutti tipici della zona come arance, ciliege, tamarindi in abbondanza, vistosamente maturi, da raccogliere. Il re ne fu molto colpito e da allora la pasta martorana fu detta anche "pasta reale", in omaggio alla sorpresa che ne ebbe il re.
Nell'elegante vassoio dei morti, di grande effetto, il pasticciere adagia anche i "morticini", meglio conosciuti come "scardellini" o "ossa dei morti". Si tratta di biscotti di pasta secca, realizzati con uova, farina, zucchero e aromatizzanti. Più si lasciano nel vassoio e più induriscono, mantenendosi a lungo, ma diventando man mano difficili da spezzare con i denti. Questa particolarità lì rende ancora più simili ad ossa vere. L'impasto, quando cotto, assume due colorazioni diverse: una parte resta bianca, ed è durissima, vuota all'interno come fosse un piccolo rotolo di cartone candido o un vero osso senza cartilagine interna; da essa, fuoriesce infatti un'altra parte, marrocina, più morbida e dalla forma tondeggiante, a somiglianza di un pezzettino di carne rimasto attaccato all'osso.  I bambini non ne sono affatto impauriti, ma sdrammatizzano la morte con questo momento di festa e di golosità, imparando anche a ricordare con gioia chi non c'è più, perchè se i nonni, i parenti, inviano da lì un vassoio di dolci o dei giocattoli, è segno che ancora li pensano, si prendono cura di loro e li ringraziano per l'offerta di preghiere che i bambini gli hanno tributato la sera prima o addirittura per tutto l'anno.
La festa del giorno dei morti ha origini molto antiche, con una valenza spirituale molto alta, e oggi è sempre più conosciuta in tutta Italia per il valore nazionale che ha, essendo una festa di origine siciliana, prettamente italiana.

Copyright © - opera non riproducibile senza autorizzazione dell'autrice in oggetto Tindara Rasi




 Vi racconto cosa è accaduto quest'anno. Io ho tre figli. All'inizio di questo mese il loro nonno paterno è morto. Quest'anno, per la festa dei defunti, il loro nonno defunto ha fatto avere loro due vassoi di dolci ciascuno, uno con gli scardellini (ossa dei morti) e uno di frutta martorana. Due piccoli vassoietti per ognuno di loro, sei guantiere in totale, essendo loro tre nipoti. I miei figli sanno che il loro nonno da lassù rimane in comunione, come loro rimangono in comunione con lui attraverso le preghiere... Lui c'è, non è morto ma è in cielo, li pensa, gli vuole bene, li ringrazia per i loro suffragi e le loro preghiere, e ha ricambiato il loro affetto con questi piccoli pensierini...

Il regalo del nonno defunto: 
vassoio di pasta reale (frutta di pasta martorana) 
e di "scardellini" (ossa dei morti)


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A FESTA DI' MORTI
Quann’eru picciriddu, sta festa era magia:
nta l’occhi a meravigghia, nto cori l’armunia,
jo mi sbigghiavu prestu, assem 'e fraticeddi
nte mani i me "riali" e tanti biscutteddi.
I scoli eranu chiusi e tuttu si firmava,
di cu' lassò stu munnu, u munnu si ricurdava.
Ora, pà picciridda, rinnovu sta magia,
picchì cu tò rigaleddu idda poi ripensa a ttia,
“ U purtò u nonnu .........me patri, gioia mia,
ca du celu ti proteggi commu n’ancilu ‘i Maria.”
E così mentri me figghia, ca non ti canuscìu,
si lega a du nonnuzzu di cui ci parru ìu,
iò da to presenza mi sentu menu schittu
e abbrazzannu a figghia ti tegnu strittu strittu.

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