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"Nonna lo prendeva in braccio perchè bagnasse la mano destra nell'acquasantiera, oppure a volte lo lasciava giù e gliela bagnava lei, inumidendogliela con la sua. "E' acqua benedetta", gli diceva, e Leone si chiedeva chi l'avesse benedetta, se per esempio era arrivato un angelo buono, e quando, e come si riconosceva un'acqua benedetta da una non benedetta. Poi si facevano il segno della croce [...] , Leone sentiva che un po' di quell'acqua santa gli era rimasta sulla fronte, ed era contento.
Si sentiva benedetto."
"Leone", di Paola Mastrocola, Giulio Einaudi Editore s.p.a. Torino, 2018, pg 112
"La santità nella maremma grossetana. Santi, Beati, Venerabili ed Eremiti" in seconda ristampa nel 2018, scritto da Tìndara Rasi e José P. De La Torre, Editore Effigi, lo conferma: su 40 e passa Santi, Beati, Venerabili, Servi di Dio, Eremiti, ecc., e tralasciando la Madonna, solo 9 "santificate" in terra di Maremma sono donne.
O forse, togliendo Flora e Lucilla, solo 7.
Di queste, una sola è Santa: Santa Felicissima, martire venerata a Sorano e festeggiata il 17 agosto (o il 26 maggio nel martirologio). Le altre due Sante, Flora e Lucilla, martiri festeggiate a Santa Fiora il 29 luglio, sono state infatti tolte dall'elenco dei Santi, considerate più leggenda e frutto di devozione popolare, che realtà storica. Una (o tre Sante), questo è dunque il totale del massimo titolo religioso per le maremmane.
Scendendo di livello "sacro", due sono Beate: Beata Libertesca, festeggiata a Buriano il 12 maggio; e Beata Maria Maddalena dell'Incarnazione (Caterina Sordini), festeggiata a Porto Santo Stefano il 29 novembre, fondatrice delle "Monache Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento".
Serva di Dio, quindi con un processo di canonizzazione avviato dal 2017, ma non ancora chiuso, è invece suor Maria Lilia Mastacchini (Teresa), suora anche lei, fondatrice anche lei, ma delle "Pie Operaie".
Anche Veronica Nucci visse da suora: prese i voti diventando suor Veronica di Maria Addolorata, ma non fu mai nulla di più che colei alla quale apparve la Madonna al Cerreto di Sorano, il 19 maggio 1853, morendo sì in "profumo di santità" ma senza altro titolo, se non quello religioso di "suora".
Tre Sante martiri e due Beate-Serve di Dio religiose acclarate. Il martirio e la vita religiosa sono sempre state una buona carta lasciapassare, per la santità.
L'altra Beata, Libertesca di Buriano, era invece solo una comune, semplice ragazzina, maltrattata e trascurata dalla matrigna, buona d'animo come solo i bambini riescono ad essere. In realtà anche lei era vicina agli ambienti religiosi: si narra che visse da eremita per un certo periodo presso i Guglielmiti, ecco perchè la presero in considerazione tanto da dedicarle una cappella a San Pancrazio al Fango, Buriano, titolandola Beata sebbene non avesse mai preso i voti. Erano tempi tristi, quelli tra il XIV e il XV secolo, ma densi di pietas popolare. Una ragazzina morta di freddo e di solitudine sotto un albero dopo i tanti maltrattamenti e patimenti subìti nella sua breve vita, capace anche da morta di far crescere fiori in mezzo alla malvagità e alla povertà, le ha permesso di non essere seppellita nel dimenticatoio pastoso dei secoli e della realtà locale di quella ristretta zona.
Bettina da Castell'Azzara non ha invece data liturgica, sebbene sia di epoca più recente, 1723-1744, dunque con più documentazione rintracciabile. I frati questuanti di Santa Trinità della Selva e don Cristofaro Bresciani, diffusero da subito le sue immaginette e i suoi reperti miracolosi, definendo anche lei Beata. Di certo era una ragazzina pia e devota, provata dalla sua paralisi a 12 anni, morta precocemente a 21 anni. Una ragazzina che ispirava santità, che, nella sua malattia e sofferenza, splendeva di meriti; ma da passare al setaccio di un cerusico, da documentare vivisezionandola post mortem per trovare tracce certe della sua santità. Urgeva quella vivisezione fisica rispecchiante anche quella reale, morale: per essere sante si deve scrivere, conservare, storicizzare, datare, documentare tutto. Non può esserci nulla di secretato, oscuro, non svelato, nascosto nel sacrario del proprio pudore umano o nella storia sociale. Ecco perchè la Chiesa ufficiale ha tolto alle Sante Flora e Lucilla l'aura di santità che avevano, relegando tutto a culto locale, possibilmente fondato su leggende, come è stato per San Giorgio. Abbiamo, in maremma due martiri sante in meno perchè gli studi non perdonano la pietà popolare fondata solo su miti leggendari o su racconti orali. Ci vuole la vivisezione documentale.
Norma Pratelli Parenti, poi, laica dell'Azione Cattolica, morta alla fine della Seconda Guerra Mondiale, è solo una "testimone" partigiana del posto. Non ha la levatura di Santa, come Santa Felicisima, morta martire durante le persecuzioni cristiane romane. Norma era di Massa Marittima, era invischiata con i partigiani e con la politica, e dunque il suo essere morta per aver voluto seppellire morti e per aver voluto salvare qualche vita, perde di sfumature esclusivamente cristiane e misericordiose. Non era neanche cieca, ed eroica dunque due volte, come si presume fosse la martire Santa Felicissima.
Non è un connotato di santità, avere le stigmate, vedi suor Maria Lilia Mastacchini, o essere malati o mutilati. Tuttavia, questo determina ancora di più le eroicità di vita santa. Bettina di Castell'Azzara era paralizzata a vita e si muoveva su una sedia trasportata da altri per andare a Messa. Suor Maria Lilia Mastacchini si ammalava misteriosamente, quando le veniva chiesto di intercedere per qualcuno, guarendo solo, altrettanto misteriosamente, quando il miracolo si verificava. Norma Pratelli Parenti era invece sana e attiva.
Quelle descritte sono donne semplicemente significative di realtà per le epoche in cui vissero. Non è necessario siano tutte storicamente definite, tutte canonizzate ufficialmente. Le donne hanno sempre avuto poca "presenza" scenica anche nell'elenco martirologico. In Maremma si è verificato lo stesso. Agnese Grazi è ricordata come prima convertita donna da San Paolo della Croce, tra i Passionisti. Maria Giovanna Venturi come la preziosa donna di servizio che accudiva i Passionisti in transito a Monte Argentario. Ma siamo ben lontani da Gemma Galgani mistica della vicina Lucca. Irene Bertoni, cofondatrice di Nomadelfia al seguito di don Zeno Saltini, era una "mamma"; e non è ancora niente altro che questo. Lia Benesperi nell'AC grossetana, Silvana Vignoli di Campagnatico, fondatrice del Progetto Speranza per l'Albania, sono nomi emergenti nel mondo spirituale locale più recente. Forse lo è anche la professoressa Giorgi, che ha speso la sua vita in tutto il centro Italia, per catechizzare e istruire. Forse lo è l'alunna romana, che evangelizza nel suo ambiente di lavoro e nella sua famiglia così efficacemente da ridare a Dio come suora una delle sue tre figlie. Forse lo è Stella, testimoniando in seminari di vita una stilla divina. Ne ho incontrate tante, anche qui e adesso, di "sante" donne. Ci sono quelle più incisive e "usabili" dalla storia del sacro attuale, la cui involontaria "testimonianza", è più rispondente per questa epoca, ed è dunque politicamente, religiosamente, socialmente vincente anche in questa terra amara. E ci sono quelle meno significative, meno segno strumentale storico per la chiesa universale o anche solo per una piccola realtà diocesana: superflua anche una targa sulle panche delle chiese, per loro. Però una nonna che insegna come pregare a suo nipotino, fa la sua parte, in questa corsa all'oblio del credo che tinteggia i libri di horror e non più di storie edificanti e sacre. Nell'incidente probatorio per acclarare santità, non ci sarà il numero di protocollo, non verrà nemmeno preso in considerazione come gesto significativo, l'insegnare a pregare ad un nipote. Come sempre ha più valore una parte di anima oscura e torbida che luccichìa dopo una conversione, che non la banalità dei gesti quotidiani esteriori di una persona comune che mai prenderà i voti. Ma la parte spirituale che ci portiamo nel DNA dell'animus, merita questo nipotino da accudire come nonni di vecchio stampo, sacralizzandone il senso alto che quel vivere/agire trasfonde, al di là dei demeriti più evidenti e acclarati. Dio è "vivo e vitale nel cuore di tutto ciò che esiste, anche e soprattutto nel cuore delle cose più banali, più lontane dall'universo «sacro» della religione" (Giorgio Gonella, in Nel deserto il profumo del vento). Meritiamo tutti/e di avere una concessione alla nostra possibilità di santità, seppellendo sotto strali appuntiti di normativa per la privacy e di leggi per l'oblio, la nostra quotidiana e sacra inaccessibilità e inaccettabilità extra-documentale.
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