PREDESTINATI AL CERCHIO D'ORO
di Tindara Rasi
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Ci sono personaggi importanti, tra le agiografie trattate nella seconda ristampa di "La santità nella Maremma Grossetana. Santi, Beati, Venerabili, Eremiti", di José De La Torre e Tìndara Rasi. In particolar modo i fondatori e le fondatrici: religiosi, suore e sacerdoti che hanno dedicato una vita intera alle cause di Dio. Hanno avuto tempo, hanno avuto "mestiere", hanno avuto studio e azioni orientate esclusivamente a ciò. Beato Andrea Gallerani (Frati della Misericordia); Angelo da Portasole (Compagnia dei Disciplinati); San Guglielmo di Malavalle (Guglielmiti); Suor Maria Lilia Mastacchini (Pie Operaie); Beata Maria Maddalena dell'Incarnazione (Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento); San Paolo della Croce (Passionisti); don Zeno Saltini (Nomadelfia).
Ma ci sono due categorie socio-teologiche che mi appassionano maggiormente.
I giovani.
E i laici.
I primi perchè sono "santificati" ovviamente, quasi esclusivamente, da altri, che ne hanno mantenuto e valorizzato il ricordo. Non si sono fatti da sè: li hanno fatti "santi" gli altri, oltre che sè. Il Sinodo dei Giovani nel 2018 ha riacceso i riflettori su questa categoria sociale e antropologica, ma già dal Concilio Vaticano II ( 1962-1965), la posizione ecclesiale è fattivamente orientata.
I secondi, i laici, mi interpellano perchè hanno saputo essere "santi" senza puntare a ciò. Non che i religiosi puntino a ciò; ma è un desiderio insito nella stessa professione religiosa, arrivare alla beatificazione e alla canonizzazione. Ci sono ciarlatani con evidenti difficoltà spirituali, che non hanno desiderio di chiesa, di comunità, di santità. Usano la "pedagogia nera" (cfr. la psicoterapeuta Alice Miller) come via apicale del cammino altrui, costringendo a una mistica apofatica non voluta. Macerano la chiesa, anzicchè santificarla, spengono le fiamme del loro stesso ordine sacro, coercizzano la fede, partendo dal popolo di Dio che "gestiscono", per arrivare perfino a se stessi. Però ce ne sono, di contro, molti altri che invece affidano alla perfezione di ogni loro aspetto, il desiderio di santificazione più alto e sublime. Sono "santuari" veri, tra tanti religiosi e consacrati approssimativi. Odorano di pienezza sacra, perchè vivono in pienezza la tensione all'Altro da sè. I laici, invece, questo desiderio del "farsi santi" non lo vivono, non lo possono vivere, come pienezza di "tendenza a". A differenza dei religiosi, dei sacerdoti, dei consacrati, hanno impegni che li "rubano", che li portano via alla santificazione di sè. E, dunque, riuscire a centrare questo dato, pur tra mille impegni, è eroicità, è virtù vera. Sono "feriali", non "festivi". Ma proprio per questo, doppiamente eroici. Quando superano la diffidenza di vescovi, che accertano fumus boni iuris solo pro eletti indubitabili - molto spesso dunque solo pro religiosi - si grida al doppio miracolo.
Se è forse più facile, in caso di giovani santi, proprio perchè morire cristianamente in giovane età, già di per sè è suscettibile di pietà umana e dunque di beatificazione, difficile lo è per quanto riguarda i laici, e soprattutto, le laiche. Eppure sono loro che "salvano dalla mediocrità" la Chiesa, disse Giovanni Paolo II a Lucca, il 23 settembre 1989. Tabernacoli divini, lo siamo tutti.
Mi piace ricordare testimoni laici maremmani come: Bettina da Castell'Azzara, laica e morta giovane a 21 anni; San Feriolo, un soldato, dunque non un religioso, giovane martire in terra Toscana; Sant'Ansano, morto a 19, 20 anni anche lui da martire; Beata Libertesca, ragazzina morta di freddo sotto un albero mentre pascolava il gregge; Norma Pratelli Parenti, laica e battagliera, uccisa a 21 anni; Ruffino da Batignano, laico con l'amore verso il vestito sacro, il saio da fraticello. Anche alcuni "religiosi" sono morti giovanissimi: San Lorenzo, importato devozionalmente da Roma a Grosseto; Beato Luca del Teglia, morto a 39 anni da agostiniano con tanto di "patente" di romita; Veronica Nucci, morta a 21 anni, dopo essersi fatta suora in seguito all'apparizione della Madonna al Cerreto di Sorano; suor Maria Lilia Mastacchini, fondatrice delle Pie Operaie, morta a soli 33 anni. Santa Felicissima è certamente martire, ma morta non si sa a che età. Flora e Lucilla lo stesso. Giacomo Papocchi, laico murato vivo come eremita per espiare i propri delitti di giovincello, morì invece anziano.
Laici e giovani, laici e meno giovani, tuttavia, non sono in "contrapposizione" con chi ha scelto la vita religiosa. Ma certamente di laici santificati ve ne è una percentuale molto inferiore. Di laiche donne santificate, poi, c'è una incidenza e casistica bassisima.
Eppure il viaggio verso il mistero di ogni "divino fuorilegge" (Giorgio Gonella), ha un'epicità assoluta e "personalissima". C'è chi fa l'eremita: vedi Giacomo Papocchi che visse in una cella a Montieri; San Guglielmo di Malavalle, nascosto tra le paludi maremmane; San Mamiliano, nella grotta di Monte Fortezza a Montecristo; San Cerbone, fuggito all'Isola D'Elba. C'è chi preferisce la dimensione comunitaria, vivendo da monaco, da frate, da religioso tra religiosi. C'è chi non vive senza amici: Padre Antonio Tommasini con Giovanni Battista Petracelli che lo accudì fin sul suo letto di morte; Flora e Lucilla, sorelle in fuga a due; Frate Gaspare da Firenze con Beato Tommaso da Scarlino; Guglielmo di Malavalle con Alberto; Regolo, Cerbone e Felice, Fiorenzo e Giusto, Clemente e Ottaviano in gruppo.
Non c'è una via unica, per essere definibili e titolati "santi". Non può essere esclusa nessuna forma di vita, dalla santità conclamata. Il nido sicuro va rotto. Anche l'amicizia può santificare, cristificare. Anche la vita di coppia. Anche l'eremitaggio. Anche l'appartenenza sicura e incoraggiante della fratellanza monastica. Anche la rivoluzione testimoniale e viaggiante, fino al martirio della propria esistenza. Anche l'essere fanciulli e fanciulle. Anche l'essere donne.
Xeniteia è la scelta mistica di fuggire dal mondo, dalla propria "zona comfort", andando in un luogo che non si conosce, un altro Stato, un'altra terra, con altri usi e costumi, per cercare il silenzio divino, per cercare la via alla propria santità personale. Ma xeniteia, "farsi straniero", per me è tutto ciò che esula dal modello preconfezionato. Lì si annida la vera santità. Anche se la chiesa ufficiale non proclama libertà di azione, ma ortodossia ferrea, rispecchiante normative da Dicastero per la Causa dei Santi precise e puntuali, non svincolabili, il/la vero/a santo/a è un assoluto unicum, che trasporta in sè ciò che gli altri vedono in lui/lei, ciò che gli altri donano a lui/lei. Non ci si salva mai da soli, ma per specchio riflesso degli altri. E, ovviamente, dell'Altro. Non ci si fa santi da soli. Ci si fa santi negli altri per gli altri. E ovviamente, per l'Altro. E questo non può avere nessuna gabbia d'azione, nessuna legge definitoria, nessun numero di protocollo documentale. Solo un'unica "formalità": la Carità con la quale si decide di spendersi in vita, per splendere di perfezione e somma deitate nel rimando eterno che ci appartiene di diritto.
Ma ci sono due categorie socio-teologiche che mi appassionano maggiormente.
I giovani.
E i laici.
I primi perchè sono "santificati" ovviamente, quasi esclusivamente, da altri, che ne hanno mantenuto e valorizzato il ricordo. Non si sono fatti da sè: li hanno fatti "santi" gli altri, oltre che sè. Il Sinodo dei Giovani nel 2018 ha riacceso i riflettori su questa categoria sociale e antropologica, ma già dal Concilio Vaticano II ( 1962-1965), la posizione ecclesiale è fattivamente orientata.
I secondi, i laici, mi interpellano perchè hanno saputo essere "santi" senza puntare a ciò. Non che i religiosi puntino a ciò; ma è un desiderio insito nella stessa professione religiosa, arrivare alla beatificazione e alla canonizzazione. Ci sono ciarlatani con evidenti difficoltà spirituali, che non hanno desiderio di chiesa, di comunità, di santità. Usano la "pedagogia nera" (cfr. la psicoterapeuta Alice Miller) come via apicale del cammino altrui, costringendo a una mistica apofatica non voluta. Macerano la chiesa, anzicchè santificarla, spengono le fiamme del loro stesso ordine sacro, coercizzano la fede, partendo dal popolo di Dio che "gestiscono", per arrivare perfino a se stessi. Però ce ne sono, di contro, molti altri che invece affidano alla perfezione di ogni loro aspetto, il desiderio di santificazione più alto e sublime. Sono "santuari" veri, tra tanti religiosi e consacrati approssimativi. Odorano di pienezza sacra, perchè vivono in pienezza la tensione all'Altro da sè. I laici, invece, questo desiderio del "farsi santi" non lo vivono, non lo possono vivere, come pienezza di "tendenza a". A differenza dei religiosi, dei sacerdoti, dei consacrati, hanno impegni che li "rubano", che li portano via alla santificazione di sè. E, dunque, riuscire a centrare questo dato, pur tra mille impegni, è eroicità, è virtù vera. Sono "feriali", non "festivi". Ma proprio per questo, doppiamente eroici. Quando superano la diffidenza di vescovi, che accertano fumus boni iuris solo pro eletti indubitabili - molto spesso dunque solo pro religiosi - si grida al doppio miracolo.
Se è forse più facile, in caso di giovani santi, proprio perchè morire cristianamente in giovane età, già di per sè è suscettibile di pietà umana e dunque di beatificazione, difficile lo è per quanto riguarda i laici, e soprattutto, le laiche. Eppure sono loro che "salvano dalla mediocrità" la Chiesa, disse Giovanni Paolo II a Lucca, il 23 settembre 1989. Tabernacoli divini, lo siamo tutti.
Mi piace ricordare testimoni laici maremmani come: Bettina da Castell'Azzara, laica e morta giovane a 21 anni; San Feriolo, un soldato, dunque non un religioso, giovane martire in terra Toscana; Sant'Ansano, morto a 19, 20 anni anche lui da martire; Beata Libertesca, ragazzina morta di freddo sotto un albero mentre pascolava il gregge; Norma Pratelli Parenti, laica e battagliera, uccisa a 21 anni; Ruffino da Batignano, laico con l'amore verso il vestito sacro, il saio da fraticello. Anche alcuni "religiosi" sono morti giovanissimi: San Lorenzo, importato devozionalmente da Roma a Grosseto; Beato Luca del Teglia, morto a 39 anni da agostiniano con tanto di "patente" di romita; Veronica Nucci, morta a 21 anni, dopo essersi fatta suora in seguito all'apparizione della Madonna al Cerreto di Sorano; suor Maria Lilia Mastacchini, fondatrice delle Pie Operaie, morta a soli 33 anni. Santa Felicissima è certamente martire, ma morta non si sa a che età. Flora e Lucilla lo stesso. Giacomo Papocchi, laico murato vivo come eremita per espiare i propri delitti di giovincello, morì invece anziano.
Laici e giovani, laici e meno giovani, tuttavia, non sono in "contrapposizione" con chi ha scelto la vita religiosa. Ma certamente di laici santificati ve ne è una percentuale molto inferiore. Di laiche donne santificate, poi, c'è una incidenza e casistica bassisima.
Eppure il viaggio verso il mistero di ogni "divino fuorilegge" (Giorgio Gonella), ha un'epicità assoluta e "personalissima". C'è chi fa l'eremita: vedi Giacomo Papocchi che visse in una cella a Montieri; San Guglielmo di Malavalle, nascosto tra le paludi maremmane; San Mamiliano, nella grotta di Monte Fortezza a Montecristo; San Cerbone, fuggito all'Isola D'Elba. C'è chi preferisce la dimensione comunitaria, vivendo da monaco, da frate, da religioso tra religiosi. C'è chi non vive senza amici: Padre Antonio Tommasini con Giovanni Battista Petracelli che lo accudì fin sul suo letto di morte; Flora e Lucilla, sorelle in fuga a due; Frate Gaspare da Firenze con Beato Tommaso da Scarlino; Guglielmo di Malavalle con Alberto; Regolo, Cerbone e Felice, Fiorenzo e Giusto, Clemente e Ottaviano in gruppo.
Non c'è una via unica, per essere definibili e titolati "santi". Non può essere esclusa nessuna forma di vita, dalla santità conclamata. Il nido sicuro va rotto. Anche l'amicizia può santificare, cristificare. Anche la vita di coppia. Anche l'eremitaggio. Anche l'appartenenza sicura e incoraggiante della fratellanza monastica. Anche la rivoluzione testimoniale e viaggiante, fino al martirio della propria esistenza. Anche l'essere fanciulli e fanciulle. Anche l'essere donne.
Xeniteia è la scelta mistica di fuggire dal mondo, dalla propria "zona comfort", andando in un luogo che non si conosce, un altro Stato, un'altra terra, con altri usi e costumi, per cercare il silenzio divino, per cercare la via alla propria santità personale. Ma xeniteia, "farsi straniero", per me è tutto ciò che esula dal modello preconfezionato. Lì si annida la vera santità. Anche se la chiesa ufficiale non proclama libertà di azione, ma ortodossia ferrea, rispecchiante normative da Dicastero per la Causa dei Santi precise e puntuali, non svincolabili, il/la vero/a santo/a è un assoluto unicum, che trasporta in sè ciò che gli altri vedono in lui/lei, ciò che gli altri donano a lui/lei. Non ci si salva mai da soli, ma per specchio riflesso degli altri. E, ovviamente, dell'Altro. Non ci si fa santi da soli. Ci si fa santi negli altri per gli altri. E ovviamente, per l'Altro. E questo non può avere nessuna gabbia d'azione, nessuna legge definitoria, nessun numero di protocollo documentale. Solo un'unica "formalità": la Carità con la quale si decide di spendersi in vita, per splendere di perfezione e somma deitate nel rimando eterno che ci appartiene di diritto.
Copyright © Tindara Rasi