giovedì 20 luglio 2017


FAVOLE MORALI  E  CUCCHIAI DI ALCHIMIE
IL GALLO E LA VOLPE


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Sul ramo di un grande albero stava l'astuto gallo a far da sentinella. Fu allora che la volpe, con aria da santarella, gli disse:
- Lo sai amico mio? Non siamo più in guerra adesso, c'è la pace universale. Scendi, ti voglio abbracciare. Fa presto, vieni giù perché devo portare questa notizia in cento luoghi e più. Ora siete liberi di andar dove volete, noi saremo come fratelli. Vi siano fuochi artificiali, allegria e buonumore! Scendi a prendere il bacio del fraterno amore!
- Amica - le rispose il furbo gallo, gabbandola - mi commuovono queste cose e te ne sono grato. Ma voglio fare la pace in modo più solenne e gaio abbracciando, insieme a te, anche quel levriero che corre verso di noi. Sarà sicuramente un corriere mandato a dare questo annuncio. Mentre egli arriva, io scendo dalla pianta, così potremo abbracciarci tutti quanti.
- Salutamelo - rispose la volpina - ho troppa fretta e la strada che devo fare è molto lunga. Nel caso, festeggeremo domattina. -
E, in fretta e furia, se la svignò per la campagna delusa dal fallimento del suo tranello.
Vedendo ciò il vecchio gallo sorrise e cantò questa celebre sentenza: è doppio il perdono quando inganni chi ti inganna.



...a volte gli atti villani e sleali sono necessari, anche se è sempre un dispiacere doverli fare....


mercoledì 19 luglio 2017


SAN GIUSEPPE NEL BOSCO






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C'era una volta una madre che aveva tre figlie: la maggiore era scortese e cattiva, la seconda era già molto meglio, benché, avesse anche lei i suoi difetti, mentre la più giovane era una bimba buona e pia. Eppure la madre era così stravagante che prediligeva proprio la figlia maggiore e non poteva soffrire la minore. Per questo mandava sovente la povera bambina in un gran bosco, per levarsela di torno; pensava infatti che si sarebbe persa e che non sarebbe più tornata. Ma l'angelo custode, che ogni bimbo buono ha con sè, non l'abbandonava e la riportava sempre sulla strada giusta. 
Tuttavia una volta la bambina non riuscì a trovare la strada per uscire dal bosco e l'angioletto finse di non esserci. Così ella continuò a camminare fino a sera; allora vide in lontananza ardere un lumicino, corse verso quella luce e arrivò davanti a una piccola capanna. Bussò, la porta si aprì ed ella giunse a una seconda porta, alla quale bussò di nuovo. Le aprì un vecchio che aveva la barba bianca e un aspetto venerando, e non era altri che san Giuseppe. Egli le disse benevolmente: 
"Vieni, bimba cara, siediti sulla mia seggiolina accanto al fuoco e scaldati; se hai sete andrò a prenderti un po' d'acqua limpida; da mangiare invece, qui nel bosco, non ho altro per te che qualche radichetta; e prima devi raschiarle e farle cuocere." 
San Giuseppe le porse le radici; ella le raschiò ben bene, poi prese un pezzetto di frittata e il pane che le aveva dato la madre, mise tutto insieme in un pentolino sul fuoco e si fece una pappa. Quando la pappa fu pronta, san Giuseppe disse: 
"Ho tanta fame, dammi un po' della tua cena." 
La bambina lo servì subito e gli diede di più di quello che tenne per sè, ma con la benedizione di Dio si sfamò. Quand'ebbero finito di mangiare, san Giuseppe disse: 
"Adesso andiamo a dormire, però io ho un letto solo: vacci tu, io mi stenderò per terra sulla paglia." 
 "No" rispose la bimba, "rimani pure nel tuo letto; per me la paglia è abbastanza morbida." 
Ma san Giuseppe la prese in braccio e la portò nel lettino, e la bimba disse le sue preghiere e si addormentò. 
La mattina dopo, quando si svegliò, voleva dare il buon giorno a san Giuseppe, ma non lo vide. Si alzò, lo cercò, ma non riuscì a trovarlo da nessuna parte; alla fine scorse dietro la porta un sacco con del denaro, ma così pieno che poteva appena portarlo; sopra c'era scritto che era per la bambina che aveva dormito là quella notte. Allora ella prese il sacco, corse via e arrivò felicemente da sua madre; e siccome le regalò tutto il denaro, la madre non poté, che essere contenta di lei. 
Il giorno seguente anche la seconda figlia ebbe voglia di andare nel bosco. La madre le diede un pezzo di frittata molto più grosso e del pane. Le cose andarono come per l'altra sorella. La sera giunse alla capannuccia di san Giuseppe, che le diede le radici per la pappa. Quando la pappa fu cotta, egli disse anche a lei: 
"Ho tanta fame, dammi un po' della tua cena." 
La bimba rispose: 
"Mangia pure con me." 
Poi, quando san Giuseppe le offrì il suo letto e volle coricarsi sulla paglia, ella rispose:
 "No, vieni anche tu nel letto: c'è posto per tutt'e due." 
San Giuseppe la prese in braccio, la mise nel lettino e si coricò sulla paglia. La mattina, quando la bimba si svegliò e cercò san Giuseppe, egli era scomparso; ma dietro la porta ella trovò un sacchetto di denaro lungo un palmo, e c'era scritto che era per la bimba che aveva dormito là quella notte. Ella prese il sacchetto, corse a casa e lo portò a sua madre; però tenne per sè, di nascosto un po' di denaro. 
Ora si era incuriosita la figlia maggiore, e il mattino dopo volle andare nel bosco anche lei. La madre le diede frittata a volontà, pane, e in più del formaggio. La sera, proprio come le altre due, ella trovò san Giuseppe nella sua capannuccia. Quando la pappa fu pronta e san Giuseppe disse: 
"Ho tanta fame, dammi un po' della tua cena"
La fanciulla rispose: 
"Aspetta ch'io sia sazia: ti darò quel che avanzo." 
E mangiò quasi tutto, sicché, san Giuseppe dovette raschiare la ciotolina. Poi il buon vecchio le offrì il suo letto e volle coricarsi sulla paglia; ella accettò senz'altro, si coricò nel lettino e lo lasciò sulla paglia dura. Il mattino dopo, quando si svegliò, san Giuseppe non c'era, ma ella non se ne curò; cercò invece il sacco del denaro dietro la porta. Le sembrò che ci fosse qualcosa per terra, tuttavia, poiché, non riusciva a capir bene cosa fosse, si piegò e ci urtò contro con il naso. E al naso le rimase attaccato e, quando si rialzò, vide con terrore che era un altro naso, saldamente appiccicato al suo. Incominciò a gridare e a lamentarsi, ma non servì a nulla: vedeva sempre quel naso, che stava così in fuori. Allora corse via urlando, finché, incontrò san Giuseppe; gli cadde ai piedi, e lo supplicò tanto che egli, impietosito, le tolse quel naso e le regalò ancora due centesimi. 
Quando giunse a casa, la madre l'aspettava sulla porta e le domandò: "Cos'hai ricevuto in regalo?" La fanciulla mentì e disse: 
"Un grosso sacco pieno di denaro, ma l'ho perso per strada." 
"Perso!" esclamò la madre. "Oh, lo ritroveremo!" 
La prese per mano e voleva cercarlo con lei. Dapprima la fanciulla si mise a piangere e non voleva andare, alla fine però si mosse; ma per strada furono assalite da tante lucertole e serpi, che non sapevano come porsi in salvo. 
La fanciulla cattiva fu così uccisa dai loro morsi, e la madre fu morsa in un piede, perché, non l'aveva educata meglio.
S. GIUSEPPE SANTO...
S. GIUSEPPE AMATO...
"Puoi addestrarti per anni, puoi fare la vita d'asceta, ma sempre ti prende l'amore." 
(Goemon, in Arsenio Lupin, cartone animato e fumetto)
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“L’amore è l’unico tesoro che potete accumulare in questo mondo e portare con voi nell’altro. Tutta la gloria, il lavoro, le fortune, i tesori e i successi che credete di aver posseduto in questo mondo, resteranno in questo mondo.”
(S. Charbel)

lunedì 17 luglio 2017


IN PRINCIPIO É LO SGUARDO

A FAR LA DIFFERENZA



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Limpidamente guardo 
ogni viso di creatura.
(Così Lui a me).
Come eco d'eterno, ogni 
volto, alla dedizione mi voca.
Lo nutro di comprensioni
senza condizioni
e di attenzioni lo abbellisco,
ma date leggermente
come carezze 
a bimbi indifesi.

- Angelo Portale -



"Il lavoro della terra come via educativa"

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Buddha era ben conosciuto per la sua abilità di rispondere al male con il bene. 
Un giorno, un uomo che aveva sentito parlare della sua reputazione decise di viaggiare per miglia e miglia per mettere alla prova Buddha.
Quando arrivò, si piazzò di fronte a Buddha e cominciò a insultarlo con le offese peggiori. 
Buddha non si mosse; si limitò a girarsi e a dire all’uomo:
«Posso farti una domanda?»
L’uomo rispose: «Beh, che cosa c’è?»
Buddha disse: «Se qualcuno ti offre un regalo e tu lo rifiuti, a chi appartiene?»
L’uomo rispose: «In quel caso appartiene a chi l’ha offerto».
Buddha sorrise. «Esatto. Quindi, se io rifiuto di accettare i tuoi insulti, questi non appartengono forse ancora a te?»
L’uomo rimase senza parole e se ne andò.



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Un giorno un uomo ricco consegnò un cesto di spazzatura ad un uomo povero.
L’uomo povero gli sorrise e se ne andò con il cesto, poi lo svuotò, lo lavò, lo riempì di fiori bellissimi. Ritornò dall’uomo ricco e glielo diede.
L’uomo ricco si stupì e gli disse:
«Perchè mi hai donato fiori bellissimi se io ti ho dato la spazzatura?»
E l’uomo povero disse:
«Ogni persona dà ciò che ha nel cuore.
»

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Un Maestro (Shaykh) dell’Oriente vide uno scorpione che stava annegando e decise di tirarlo fuori dall’acqua, ma quando cercò di farlo, lo scorpione lo punse.
Per l’effetto del dolore, il Maestro lasciò andare l’animale che cadde di nuovo nell’acqua e stava di nuovo annegando.
Il Maestro tentò ancora di tirarlo fuori e l’animale lo punse di nuovo.

Qualcuno che stava osservando questa scena si avvicinò al Maestro e gli disse: «Scusatemi Maestro, ma siete testardo! Non comprendete che ogni volta che tenterete di tirare fuori lo scorpione dall’acqua, lo scorpione vi pungerà?»

Il Maestro rispose: «La natura dello scorpione è di pungere, ma questo non va a cambiare la mia natura, che è quella di “aiutare”».

Allora, con l’aiuto di una foglia, il Maestro trasse lo scorpione dall’acqua e salvò la sua vita, e continuò: «Non cambiare la tua natura se qualcuno ti fa del male; prendi solamente delle precauzioni».
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Il verbo accogliere e' insegnato dalla natura: i luoghi [a differenza delle persone incapaci di amare] non ti respingono, non ti recintano [non ti calpestano, non ti denigrano]
Ogni frutto della terra è un messaggio di pace, è dono spontaneo - o frutto del sacrificio e della sofferenza. Il vento di scirocco, come un antico spirito, sparpaglia le parole e invita al silenzio. 
Sotto una pergola si dicono proverbi e si cantano le poesie degli avi, si guarda sul mare le nuvole passare. 
Qui tutto parla di una divinita' che tace. 
[QUI CI SONO IO E IL MIO ESSERE AMORE]

by





domenica 16 luglio 2017


Eggregore fortificate superando il reef


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Non appena sei disposto a vedere che la tua immagine di te non è vera, 
le mura crollano.

Quando si squarcia il muro dell’intelletto, 
la tua mente si spalanca.

Quando si squarcia il muro dell’emozione, 
è il tuo cuore ad aprirsi.

Quando la realizzazione della Verità rimuove il piccolo io,
all’improvviso non vi è più un’immagine di sé, 
ma solo pura 
presenza.

sabato 15 luglio 2017



TRA L'ESSENZA E LO SPECCHIO
di Tindara Rasi


Ricordi come raccoglievamo i narcisi?


Narciso - Copyright ©

Eterotopia è uno spazio connesso con altri, ma "altro". 
Lo specchio è reale, ed è connesso al reale che riflette, ma ha anche uno spazio irreale dietro la sua superficie riflettente.
In uno specchio, io mi posso contemplare esteriormente, il mio corpo viene contenuto, lo specchio mi accede, ma io non posso accedere allo specchio, fuori si, non dentro esso. Lì viene riflesso il mio corpo, quello nudo, reale, concesso a me; quello mascherato da trucchi, vestito e rivestito, concesso ad altri. Ma io non posso entrare in quella riflessione, non posso entrare in quel luogo che non è reale, eppure rispecchiante il reale. 
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Lo stesso non può fare lo specchio. Non può entrare nel mio luogo eterotopico, nella mia anima, può farlo solo nella mia esteriorità. Io concedo allo specchio un aspetto, non il tutto. Lo specchio fa altrettanto con me. Riflette me, una parte corporea, reale di me, ma non concede sè. 
Sono non luoghi, reali, connessi con il reale, ma sospesi, resi "oltre".
Lo specchio è esterno a me.
Ma c'è un altro luogo eterotopico che è dentro me: l'interiorità, l'essenza, l'anima.
In questo corpo, la mia anima esiste, ed è libera di andare oltre, con un sogno, con la morte, con lo specchio che mi riflette. Ma non è concessa al reale. Eppure mi porta al reale. O alla perdizione nei mari del navigare dentro me. La simbologia dell'eterotopia è infatti la nave, un luogo circoscritto che non è un luogo, ma il viaggio, le scoperte, la mobilità, l'avventura, l'altrove, il possibile, l'impossibile. Lì dove si possono scoprire parole nuove, comunicazioni nuove, interiori, oblative, carmelitane, lì dove si può trovare o perdere il sè, e lì dove si può conoscere o perdere la realtà conoscibile dell'altro. 

"La nave è l'erotopia per eccellenza. Nelle civiltà senza battelli i sogni inaridiscono, lo spionaggio rimpiazza l'avventura, e la polizia i corsari."
Michel Foucault in "Dits et écrits"

Eterotopia non è utopia, tuttavia. E' un posto vero, che c'è, che esiste, ma che è altro al momento o sempre: è un rave party musicale nella notte, è un'autostrada, è essere chiusi dentro una macchina privata mentre si viaggia con tutt'intorno una città che scorre, è stare su una nave crociera... è un monitor, lì, ma altrove per esigenza comunicativa, navigando.... è un viaggio di nozze, una camera d'hotel,  un collegio militare o religioso, un cimitero, il cinema, il teatro, il bar, il luogo/tempo oltre del turismo, il villaggio vacanze, è un nosocomio, un manicomio, una casa di riposo, è il lettone di mamma e papà, la tenda, il giardino, la soffitta, il museo, la biblioteca... 
Eterotopia è anche la realtà di una comunicazione possibile ma sine glossa, scardinata continuamente, naufragabile, illimitata, smarribile, non lineare, non afferrabile, non imitabile. Si comunica con il linguaggio reale, ma andando oltre.
Eterotopia dunque come la propria anima, oltre. Come la rete di internet, comunicazione oltre. Come la conoscenza silenziosa di e per chi ci è accanto, oltre


"Non hai voluto imparare il mio linguaggio,
 così io ho dovuto imparare il tuo; 
non è il mio linguaggio, io sono altro, 
- ipostasi, ricordi? - 
ma ho imparato io il tuo codex perchè tu capisca me 
con le sole parole che conosci."
Tindara Rasi Copyright ©

Si va ad altro, restando altro, ma restituendo agli altri il loro stesso linguaggio, usando il loro linguaggio al solo fine di dargli modo di scoprirci reali e valoriali, di "comprenderci" - senza tuttavia "contenerci" mai del tutto. Si parla con il linguaggio conosciuto per convenzione, per aiutare chi ci ascolta, chi ci legge, non noi, che restiamo oltre. Il passo concesso pro tibi - che dall'altro non è talvolta concesso... Un atto d'amore, come chi impara una lingua diversa da quella personale originale di sempre, per usarla, per comunicare con l'amato che è straniero a noi: per amore oltre e puro, si entra in quello spazio. Un atto, un passo, per essere realmente in quello spazio fisico o dialogico, per esserci dentro, pur restando originali originati, pur restando altro. E tuttavia, il passo necessario e unilaterale che dobbiamo compiere per attraversare il liminale rituale, per comunicare e svelare, per accedere/e far accedere all'oltre che siamo noi, che sono gli altri, dietro il riflesso del reale.


"Il mito di Narciso: come se non fosse proprio la lunga e attenta contemplazione della propria immagine allo specchio a darci la forza e la schiettezza per osservare a lungo gli altri."

Quel reale intrappolato da uno specchio, ma concesso solo in parte, potrebbe farci perdere, naufragando nella libertà. Si può essere, dire, pensare tutto e il contrario di tutto. Tuttavia, è quella contemplazione, la comunicabilità possibile. Fissare uno specchio cercando se stessi e l'oltre; fissare uno schermo comunicando oltre...
"La rete [...] offre così strutture e spazi di produzione intellettuale che imitano e ampliano la portata di alcune forme empatiche e comunicative della comunità umana. L'interazione diventa oggetto da riprodurre in quanto percorso interiore delle pratiche di comunicazione, creando un polivoco gioco di interscambio  nel quale una piattaforma digitale interattiva simula anche l'interattività umana", si legge in "Le architetture liquide: dalle reti di pensiero al pensiero in rete", di Matteo Ciastellardi, LED edizioni universitarie, 2009.
Navighiamo sempre partendo da noi, in una nave che contiene noi e va oltre noi e ogni luogo e ogni ideazione e ogni ipotizzazione e ogni temporalizzazione. 
Questa è la dimora "oltre", del nostro possibile.
Che può portarci alla follia dell'oltre da noi.
O alla pienezza conoscitiva e contenitiva dell'oltre/altri/altro da noi, e ovviamente anche di noi stessi.


Copyright © - opera non riproducibile senza autorizzazione dell'autrice in oggetto Tindara Rasi



venerdì 14 luglio 2017

Mariella Nava :Uno spiraglio al cuore (2013)

IL TOCCO VERO DELLA GUERRA


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Lui parla a letto prima di dormire

chiedendo comprensioni e giustizia di raggiri.

(Se stiamo insieme è per imposizioni,

per strade prese

– per non dare delusioni.

Passi obbligati, pensando a posteriori:

– leggiadre forzature – anelli di doveri.)


All’improvviso un’eco rumoreggia dal di fuori,

– l’ippodromo si scruta esterrefatto

al mimo dei cavalli e dei presentatori

–  e i due 

cessano sollevati di ammalarsi di parole

– aprono finestre

– chiedendo spiegazioni.


Per strada

ci sono lampeggianti accesi e una scorta ridondante

a far da sfondamento e aprire varchi –

– ci sono inseguimenti e un forte tonfo


             – eco agghiacciante – di un mezzo pesante.




Rimbomba in cuore

quella corsa folle di carro armato militare

                   – enorme, rapido, provvisto di cannone.

È una sinistra accusa dell’angolo visuale

un’afa – un’espressione.


Tra loro –

non c’è più malcontento da errate risultanze,

nè abuso di lagnanze – o divaganze.


All’improvviso 

                           fine


e pace e amore

hanno di nuovo buone essenze.



11 LUGLIO 2003

Copyright © - opera non riproducibile senza autorizzazione dell'autrice in oggetto Tindara Rasi


Mariella Nava - Uno spiraglio al cuore - Festival di Sanremo



giovedì 13 luglio 2017

Il bon ton della rete

Chi ama chiama chi ama, chiamami tu che chi ami chiami.


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L'antropologia della comunicazione interattiva o Computer Ethics, è diventata una branca dell'etica applicata nelle facoltà universitarie.
Perchè si sente questa necessità?
Se inizialmente il galateo internet (netiquette) riguardava solo i pochi provetti navigatori della rete o i professionisti del settore, tanto che fu stilato un protocollo dai newsgroup Usenet detto RFC 1985 Netiquette Guidelines, oggi ciò riguarda tutti i fruitori di computertabletSmartphone, ecc.
La distanza tra vita reale (VR) e vita digitale (VD)  non esiste più: siamo interconnessi e digitali nella vita di tutti i giorni, e comunicare non viaggia quasi mai tramite cabine telefoniche e lettere scritte a mano. In alcuni casi, ciò è di grande utilità, soprattutto per persone con difficoltà fisiche che non potrebbero comunicare in altro modo e che un tempo erano destinati al silenzio.
Comunicare è dunque esigenza vitale, potenziata ed evoluta a velocità vertiginosa nell'ultimo secolo. La facilitazione dei mezzi ha reso oggi più universale, esteso e ingigantito il mondo dell'interazione interpersonale. Si arriva dovunque, a chiunque ci interessi, con qualsiasi mezzo, e in tempo reale.
Ma ci sono regole da rispettare, sia nella vita relazionale sociale di tutti i giorni che in ambito giovanilistico e scolastico. Ci vuole un uso "bravo", "umano" e "corretto" come quello che si adotta nella vita di tutti i giorni.

Nei social network - canali comunicativi indiretti - come Twitter, Facebook o Instagram, se c'è un amico, un follower che vuole stringere amicizia, dopo essersi accertati della sua identità, bisogna comportarsi con la stessa diplomazia che si adotterebbe nella vita reale: presentarsi, comunicare, interagire in modo corretto, cercarsi (commentarsi a likearsi), rispettarsi. Molti casi di cyberbullismo nascono da un non adeguato rispetto della intimità altrui e della sua persona. Il personal branding è uno dei temi portanti in questo caso: io ho diritto ad una buona reputazione, come ne hai tu, e nessuno può usare informazioni, dati, ecc, che mi riguardano per danneggiarmi in tal senso. Ma anche l'utente stesso deve fare attenzione a non creare di se un'immagine non corretta, immorale o sgradevole, così come ha il diritto a non farsela creare dai propri contatti.  Per questo motivo:
- non bisogna fare amicizie con ignoti solo per valorizzare il proprio profilo social;
- non bisogna divulgare immagini di cattivo gusto per attirare consensi;
- non bisogna aumentare hatespeech;
- non bisogna favorire illegalità come la pedopornografia, diffondendo per esempio immagini manipolabili di minorenni anche avendone le autorizzazioni genitoriali (bisogna oscurare i volti, rendere i ritratti non manipolabili graficamente, non sfruttare mai le loro immagini  senza le tutele opportune, non diffonderli sulla rete per promozione personale o del proprio operato usando foto senza firma digitale o logo, o senza copyrigh, ecc. e impedendo con questo artifizio doloso e preterintenzionale di conoscere l'autore primario dello scatto, perseguibile invece legalmente per l'uso improprio che ne può derivare);
- non sollecitare all'uso di App o di giochi interattivi, qualora sia già stato dichiarato di non essere interessati;
- non bisogna comportarsi in modo eticamente scorretto con i propri contatti.

I social network hanno canali comunicativi diretti: Messenger di Facebook o i commenti nei blog ne sono un esempio. Essere "on" significa essere in comunicazione con i possibili interlocutori.
E' buona norma dunque rispondere sempre, anche con brevi messaggi dichiarativi, sia su Facebook, che su Instagram che nei gruppi di discussione di Linkedln, senza lasciare l'interlocutore "non ascoltato" o non letto. Se nella vita reale, è cattiva educazione ignorare una persona che vi parla, lo stesso vale quando si usano i mezzi di comunicazione della rete.

Il medesimo principio vale per WhatsApp, per Snapchat, per Messenger tramite Smartphone: a lettura effettuata, quando appaiono le spunte blu, è corretto rispondere sempre. Se la risposta richiede attenzione e tempo, e in quel momento non è possibile concederla, è bene informare chi ci contatta con un messaggio che chiarisca: "Ora non posso. Rispondo quanto prima." Oppure preparare l'utente alla possibilità di non poter ricevere una risposta celere, impostando il proprio stato come "occupato", "in riunione", "solo chiamate urgenti". Nel caso in cui appare opportuno per un qualunque motivo non rispondere, dichiararlo esplicitamente: solo così da entrambe le parti c'è la possibilità di una presa di coscienza consapevole e condivisa. 
Riguardo i follower o gli amici in Facebookricambiare seguendoli e ringraziandoli con un breve messaggio di benvenuto.
Nei blog, così come in qualsiasi altro social network, non censurare le critiche o i commenti ma rispondere chiarendo la propria posizione, senza alimentare successive polemiche. Solo in casi estremi, usare i blocchi,  e mai senza preventivo chiarimento sulle motivazioni che conducono a ciò.

Nei gruppi di discussione, in Linkedln o in  WhatsApp (ad esempio nei famigerati gruppi scolastici genitori), ma anche nei destinatari pubblici e multipli delle e-mail condivise, rispettare il diritto di parola; porre attenzione alla privacy delle persone (non divulgando a terzi comunicazioni personali o esclusivi del gruppo o delle singole persone); non inviare files multimediali come video, foto pubblicitarie con cani e gattini graziosi ma inutili e pesanti da scaricare; non rispondere solo con puntini, slang o emoticon; non alimentare catene digitali; usare i messaggi vocali solo se necessari; usare la @ seguita dal nome se in gruppo si vuole invece rispondere o comunicare espressamente con una singola persona, oppure aprire una chat privata, abbandonando momentaneamente il gruppo e dichiarandolo ("ti scrivo in privato").

In generale, evitare quoting, flame, spamming.

Nelle e-mail con destinatari multipli, salvaguardare gli indirizzi e-mail delle persone usando la casella Bcc o Ccn. Inserire il titolo nell'oggetto, per facilitare il ricevente nel riassumere il senso della lettera.
Non usare screenshot per diffondere messaggi o lettere o comunicazioni private. Non farlo nemmeno direttamente, rigirando un commento o una e-mail ad altre persone ad insaputa dello scrivente o senza sua autorizzazione, o facendola leggere per motivi derisori o calunniosi o immorali. Ogni citazione, così come ogni lettura a terzi, deve avvenire solo dietro autorizzazione a farlo, e comunque mai per atti degradanti, illeciti o diffamatori.
Rispettare la privacy  non usando mai, in nessun caso, scritti, e-mail, messaggi, commenti, ecc. per propositi illegali o calunniosi, è la prima, imprescindibile regola. Nella vita reale esiste il pettegolezzo calunnioso e reiterato, il bullismo comunicativo o il mobbing/bossing sociale legato a comunicazioni negate, ostracizzate, o, di contro, usate in modo tendenzialmente improprio. In quella in internet lo stesso (il cyberbullismo ne è la degenerazione più conosciuta). In entrambi i casi questo tipo di comportamento è eticamente immorale ed è perseguibile penalmente.

Infine, ma non per ultimo punto, il galateo etico di chi usa mezzi di comunicazione tramite computer, tablet, ecc., esige di: rispettare la proprietà intellettuale di chi crea un blog, un sito, una pagina Facebook o di qualsiasi altro social network; rispettare la proprietà ideativa, scritturale, fotografica, grafica e progettuale di chi scrive e di chi pubblica (il quale ha doveri da onorare, per una comunicazione che sia davvero etica; ma anche diritti che gli devono essere concessi e che devono essere, soprattutto, rispettati).


La coscienza comune passa anche attraverso l'aspetto etico ed ecologico dei mezzi che si usano.
Un oggetto come può essere un cellulare o un computer che funziona benissimo, o che non funziona più, non causa di per sé danni esistenziali alle persone o danni ecologici all'ambiente.
Lo fa l'uomo che non è bravo ad amare il mezzo che ha in dono.



Il mezzo può essere paragonato a un seme, il fine ad un albero; e tra mezzo e fine vi è esattamente lo stesso inviolabile nesso che c'è tra seme e albero.


Copyright © - opera non riproducibile senza autorizzazione dell'autrice in oggetto Tindara Rasi