sabato 15 luglio 2017



TRA L'ESSENZA E LO SPECCHIO
di Tindara Rasi


Ricordi come raccoglievamo i narcisi?


Narciso - Copyright ©

Eterotopia è uno spazio connesso con altri, ma "altro". 
Lo specchio è reale, ed è connesso al reale che riflette, ma ha anche uno spazio irreale dietro la sua superficie riflettente.
In uno specchio, io mi posso contemplare esteriormente, il mio corpo viene contenuto, lo specchio mi accede, ma io non posso accedere allo specchio, fuori si, non dentro esso. Lì viene riflesso il mio corpo, quello nudo, reale, concesso a me; quello mascherato da trucchi, vestito e rivestito, concesso ad altri. Ma io non posso entrare in quella riflessione, non posso entrare in quel luogo che non è reale, eppure rispecchiante il reale. 
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Lo stesso non può fare lo specchio. Non può entrare nel mio luogo eterotopico, nella mia anima, può farlo solo nella mia esteriorità. Io concedo allo specchio un aspetto, non il tutto. Lo specchio fa altrettanto con me. Riflette me, una parte corporea, reale di me, ma non concede sè. 
Sono non luoghi, reali, connessi con il reale, ma sospesi, resi "oltre".
Lo specchio è esterno a me.
Ma c'è un altro luogo eterotopico che è dentro me: l'interiorità, l'essenza, l'anima.
In questo corpo, la mia anima esiste, ed è libera di andare oltre, con un sogno, con la morte, con lo specchio che mi riflette. Ma non è concessa al reale. Eppure mi porta al reale. O alla perdizione nei mari del navigare dentro me. La simbologia dell'eterotopia è infatti la nave, un luogo circoscritto che non è un luogo, ma il viaggio, le scoperte, la mobilità, l'avventura, l'altrove, il possibile, l'impossibile. Lì dove si possono scoprire parole nuove, comunicazioni nuove, interiori, oblative, carmelitane, lì dove si può trovare o perdere il sè, e lì dove si può conoscere o perdere la realtà conoscibile dell'altro. 

"La nave è l'erotopia per eccellenza. Nelle civiltà senza battelli i sogni inaridiscono, lo spionaggio rimpiazza l'avventura, e la polizia i corsari."
Michel Foucault in "Dits et écrits"

Eterotopia non è utopia, tuttavia. E' un posto vero, che c'è, che esiste, ma che è altro al momento o sempre: è un rave party musicale nella notte, è un'autostrada, è essere chiusi dentro una macchina privata mentre si viaggia con tutt'intorno una città che scorre, è stare su una nave crociera... è un monitor, lì, ma altrove per esigenza comunicativa, navigando.... è un viaggio di nozze, una camera d'hotel,  un collegio militare o religioso, un cimitero, il cinema, il teatro, il bar, il luogo/tempo oltre del turismo, il villaggio vacanze, è un nosocomio, un manicomio, una casa di riposo, è il lettone di mamma e papà, la tenda, il giardino, la soffitta, il museo, la biblioteca... 
Eterotopia è anche la realtà di una comunicazione possibile ma sine glossa, scardinata continuamente, naufragabile, illimitata, smarribile, non lineare, non afferrabile, non imitabile. Si comunica con il linguaggio reale, ma andando oltre.
Eterotopia dunque come la propria anima, oltre. Come la rete di internet, comunicazione oltre. Come la conoscenza silenziosa di e per chi ci è accanto, oltre


"Non hai voluto imparare il mio linguaggio,
 così io ho dovuto imparare il tuo; 
non è il mio linguaggio, io sono altro, 
- ipostasi, ricordi? - 
ma ho imparato io il tuo codex perchè tu capisca me 
con le sole parole che conosci."
Tindara Rasi Copyright ©

Si va ad altro, restando altro, ma restituendo agli altri il loro stesso linguaggio, usando il loro linguaggio al solo fine di dargli modo di scoprirci reali e valoriali, di "comprenderci" - senza tuttavia "contenerci" mai del tutto. Si parla con il linguaggio conosciuto per convenzione, per aiutare chi ci ascolta, chi ci legge, non noi, che restiamo oltre. Il passo concesso pro tibi - che dall'altro non è talvolta concesso... Un atto d'amore, come chi impara una lingua diversa da quella personale originale di sempre, per usarla, per comunicare con l'amato che è straniero a noi: per amore oltre e puro, si entra in quello spazio. Un atto, un passo, per essere realmente in quello spazio fisico o dialogico, per esserci dentro, pur restando originali originati, pur restando altro. E tuttavia, il passo necessario e unilaterale che dobbiamo compiere per attraversare il liminale rituale, per comunicare e svelare, per accedere/e far accedere all'oltre che siamo noi, che sono gli altri, dietro il riflesso del reale.


"Il mito di Narciso: come se non fosse proprio la lunga e attenta contemplazione della propria immagine allo specchio a darci la forza e la schiettezza per osservare a lungo gli altri."

Quel reale intrappolato da uno specchio, ma concesso solo in parte, potrebbe farci perdere, naufragando nella libertà. Si può essere, dire, pensare tutto e il contrario di tutto. Tuttavia, è quella contemplazione, la comunicabilità possibile. Fissare uno specchio cercando se stessi e l'oltre; fissare uno schermo comunicando oltre...
"La rete [...] offre così strutture e spazi di produzione intellettuale che imitano e ampliano la portata di alcune forme empatiche e comunicative della comunità umana. L'interazione diventa oggetto da riprodurre in quanto percorso interiore delle pratiche di comunicazione, creando un polivoco gioco di interscambio  nel quale una piattaforma digitale interattiva simula anche l'interattività umana", si legge in "Le architetture liquide: dalle reti di pensiero al pensiero in rete", di Matteo Ciastellardi, LED edizioni universitarie, 2009.
Navighiamo sempre partendo da noi, in una nave che contiene noi e va oltre noi e ogni luogo e ogni ideazione e ogni ipotizzazione e ogni temporalizzazione. 
Questa è la dimora "oltre", del nostro possibile.
Che può portarci alla follia dell'oltre da noi.
O alla pienezza conoscitiva e contenitiva dell'oltre/altri/altro da noi, e ovviamente anche di noi stessi.


Copyright © - opera non riproducibile senza autorizzazione dell'autrice in oggetto Tindara Rasi



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