"Il
senso della Trinità è che Dio è pensiero.
Ogni
pensiero ha un soggetto e un oggetto.
Il
Padre pensa la sua parola.
Questo
pensiero è amore.
Questa
parola è ordine.
Quest’ordine
è immagine di questo pensiero, di questo amore."
Simone Weil
"Dovunque
troverò i santissimi nomi e le sue parole scritte in luoghi
indecorosi, voglio raccoglierli e prego che siano raccolti e
collocati in luogo decoroso."
"Testamento"
di San Francesco, autunno 1226
Il
suo amore per il Signore lo portava al massimo rispetto del semplice
nome di Dio. Ovunque trovava qualche scritto, di cose divine o umane,
per strada, in casa o sul pavimento, lo raccoglieva con grande
rispetto, riponendolo in un luogo sacro o almeno decoroso, nel timore
che vi si trovasse il nome del Signore, o qualcosa che lo
riguardasse. Avendogli una volta un confratello domandato perchè
raccogliesse con tanta premura perfino gli scritti dei pagani o
quelli che certamente non contenevano il nome di Dio, rispose:
"Figlio mio, perchè tutte le lettere possono comporre quel nome
santissimo; d'altronde, ogni bene che si trova negli uomini, pagani
o no, va riferito a Dio, fonte di qualsiasi bene!" Cosa ancor
più sorprendente, quando faceva scrivere messaggi di saluto o di
esortazione, non permetteva che si cancellasse alcuna parola o
sillaba, anche se superflua o errata. Era talmente profonda questa
sua venerazione per il nome di Dio, che aveva raccomandato più volte
per iscritto ai suoi frati di fare altrettanto.
"San
Francesco fratello di tutto e di tutti. Profilo umano e spirituale",
di Francesco Gioia, Ed. Frate Indovino, pg. 202
Cfr.
2Cel 82; FF 114; FF 209a; FF 225; FF 242; FF 462-463; FF 1185.
Abbiamo
perso il Nome che unisce.
Il filosofo-teologo Abramo
Abulafia, nato a Saragozza nel 1240 e morto nell'isola di Comino, nel
1291, visse per lungo tempo anche in Sicilia, a Messina. La cultura
siciliana, vive di questi miscugli arabi, ebraici, catalani, gallici,
teutonici. Abulafia parlava di nomi e di parole teologiche, in chiave
mistica, cabalistica. Studioso di Qabbalah, riteneva le parole
(composte da lettere, ognuna avente un valore numerico preciso, come
ghematria vuole)
estensioni del sacro, per l'esattezza del Nome sacro. Le lettere
alfabetiche furono dunque oggetto di alta meditazione, per lui:
cercandole in ruote da far girare vorticosamente a livello mentale,
si può giungere, in un afflato mistico dato a pochi eletti, alla
Verità primordiale che le compone, cioè alla compenetrazione
mistagogica dell'Unum
da cui promanano.
La mente se ne appropria, liberandosi sigillo dopo sigillo, nodo dopo
nodo psichico, con gradualità propedeutica che non ci faccia
impazzire. Solo pochi possono riuscirvi, e solo dietro grande
allenamento. Mistica mentale medievale ebraica, oggi impensabile.
Secondo Abulafia, ogni
linguaggio, al pari di note, diventa melodia, quando i suoni dei
nomi, delle lettere singole, si armonizzano tra loro. Nella lingua
sacra originaria, di tutto ciò si teneva conto, e non esisteva nome
proprio comune che non fosse pensato, calcolato, rielaborato
dall'originale, dal suono base. "Otiyyot",
cioè "lettere",
al plurale, significa "ciò
che viene". Ma
non dall'uomo; da Dio. Quando a decidere subentrò l'uomo, riguardo
ogni nome e ogni parola nacque solo confusione babelica, producendo
la demolizione della lingua sacra che, sempre più, perse il suo
splendore musicale iniziale. Il linguaggio simbolico personale, si è
da allora sempre più inasprito, rendendo la "parola"
calligrafica di uno, diversa dall'altro, sia nel simbolo scritturale,
ideogrammatico; sia nel suono, per cadenze e accenti derivati dalla
propria origine domiciliare negli Stati del mondo; sia nel
significato specifico con il quale ognuno la intende e con il quale
la intesse. Io parlo, e tu cosa senti? Tu parli, e io cosa recepisco?
Non esiste più bellezza originata dall'originante, solo parole
inefficaci derivate da altrettante parole che hanno perso nel cammino
l'essenza sacra iniziale.
Tocca al mistico, lavorando su
ogni singola lettera alfabetica, ritrovare la lingua perduta,
procedendo dal concreto individuale, all'astratto che è "solo
di Dio" comprensibile, e non dell'umano. È questo il lavoro
anche dei traduttori biblici storici; è questo l'impegno dei mistici
ebraici e dei cabalisti. Da mille frantumi, ricreare l'unicità; dai
frammenti, ricostruire l'autenticità. Gira la ruota, e cerca
l'essenza sacra. Ogni parola che è già stata generata, e ogni altra
parola che, nella trance
mistica, raggiunta
tra scrittura ipnotica e respiro, si formerà per "permutazione",
per rotazione, per "combinazione delle altre", come diceva
il mistico Abulafia, è una parola "possibile" solo in
quanto portatrice in frammento, del Nome unico. Impronunciabile,
incomprensibile, ma "possibile", Sua. C'era una bellissima
stoffa di seta colorata, all'origine, ma fu strappata in brandelli.
Perdere la possibilità di capire il linguaggio divino, di capire le
singole lettere ebraiche, comprensive di suoni corretti, di armonie
di numeri, di note, è stato un lento degenerare verso le realtà
contingenti, smarrendo quelle trascendenti. Non esiste una parola
ultima, condensativa, non ancora. Ma esiste una parola prima,
generativa. A quella, è necessario ritornare.
Molti Santi, molti cristiani
dei primi secoli, hanno provato a rintracciare la "potenza"
della parola, cercandola senza intenti di comprensione concreta, solo
come essenza, come suono, come musicalità ricca di grazia che,
udita, ci avvolga nell'aura divina. Sant'Agostino praticava le sortes
sanctorum, come
oracoli evangelici, sebbene con le dovute cautele, aprendo a caso la
Bibbia. Lo stesso faceva San Francesco: praticando la "bibliomanzia",
estrasse dalla Bibbia tre frasi che divennero la sua Regola. Anche
molti cristiani contemporanei, continuano a ricadere
involontariamente in questi riti "sticomantici",
sebbene aboliti: i frasari biblici consultati per decorare i rametti
di olivo in Quaresima; i versetti estirpati a caso per il giorno
della cresima dei bambini, da inserire in cartigli come i Baci
Perugina....
Perchè cerchiamo le Sue
Parole? Perchè ne siamo così assetati, e le trattiamo così male?
Perchè non sappiamo più
vederne la Bellezza originale, quel suono carnale che ci avvolge e
che ci trasfonde. Una lettera alfabetica, una parola... due... tre.
Suoni "incarnati", li concepiva Abulafia. Note, letture
pentagrammatiche, che esprimono l'ineffabile e l'inafferrabile. A
volte non è necessaria la traduzione fedele dei segni, la
traslitterazione dei simboli, la registrazione dei suoni vocalici. La
lingua di Dio non è la nostra e non possiamo certo appropriarcene
con le nostre facoltà umane o fonatorie. È necessario l'ascolto,
l'esserci. Non è necessario capire il senso di chi ci parla. È
necessario stare nelle frequenze hertz.
Captare quel ronzio di ape in sottofondo, e anche meno, un
ultra-suono immateriale. Guardare negli occhi chi ci ama, e ascoltare
con il cuore, senza capire nulla, nulla!, di ciò che dice, ma
vivendo lì, in una piccola eternità istantanea, avvolti di Amore
infinito. Questo è il significato, e non quello dicibile e
ri-dicibile.
Non si può raccontare appieno la Parola originaria, non più;
abbiamo rotto il Nome, lo abbiamo dissacrato e sbrindellato in rivoli
infiniti di non-sense.
Il siculo-spagnolo Abulafia, questo lo sapeva. Gli ebrei lo avevano
capito. Ci sono nomi e nomi, parole e parole. Sigle, acronimi,
semantiche differenziate. Abissi e incomprensioni. Mille parole, e
abissi. Mille parole, e incomprensioni.
Ma ne basta una, di parola,
per restituirci al
mondo. Ne basta una
soltanto, che è ancora capace di raccapezzare il Tutto
in un Intatto
divinamente "muto". Oltre le vocali masoretiche, più in
là: esattamente Qui.
Ogni
lettera che ci appartiene, ricompone l'Unità che ci contiene. Chiama
a questo, il Nome; e ci chiama esattamente per nome.
Copyright © Tindara Rasi
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