domenica 17 novembre 2019

LA PAROLA A BRANDELLI

di Tìndara Rasi
Copyright © Tindara Rasi

"Il senso della Trinità è che Dio è pensiero.
Ogni pensiero ha un soggetto e un oggetto.
Il Padre pensa la sua parola.
Questo pensiero è amore.
Questa parola è ordine.
Quest’ordine è immagine di questo pensiero, di questo amore."
Simone Weil

"Dovunque troverò i santissimi nomi e le sue parole scritte in luoghi indecorosi, voglio raccoglierli e prego che siano raccolti e collocati in luogo decoroso."
"Testamento" di San Francesco, autunno 1226

Il suo amore per il Signore lo portava al massimo rispetto del semplice nome di Dio. Ovunque trovava qualche scritto, di cose divine o umane, per strada, in casa o sul pavimento, lo raccoglieva con grande rispetto, riponendolo in un luogo sacro o almeno decoroso, nel timore che vi si trovasse il nome del Signore, o qualcosa che lo riguardasse. Avendogli una volta un confratello domandato perchè raccogliesse con tanta premura perfino gli scritti dei pagani o quelli che certamente non contenevano il nome di Dio, rispose: "Figlio mio, perchè tutte le lettere possono comporre quel nome santissimo; d'altronde, ogni bene che si trova negli uomini, pagani o no, va riferito a Dio, fonte di qualsiasi bene!" Cosa ancor più sorprendente, quando faceva scrivere messaggi di saluto o di esortazione, non permetteva che si cancellasse alcuna parola o sillaba, anche se superflua o errata. Era talmente profonda questa sua venerazione per il nome di Dio, che aveva raccomandato più volte per iscritto ai suoi frati di fare altrettanto.
"San Francesco fratello di tutto e di tutti. Profilo umano e spirituale", di Francesco Gioia, Ed. Frate Indovino, pg. 202
Cfr. 2Cel 82; FF 114; FF 209a; FF 225; FF 242; FF 462-463; FF 1185.


Abbiamo perso il Nome che unisce.
Il filosofo-teologo Abramo Abulafia, nato a Saragozza nel 1240 e morto nell'isola di Comino, nel 1291, visse per lungo tempo anche in Sicilia, a Messina. La cultura siciliana, vive di questi miscugli arabi, ebraici, catalani, gallici, teutonici. Abulafia parlava di nomi e di parole teologiche, in chiave mistica, cabalistica. Studioso di Qabbalah, riteneva le parole (composte da lettere, ognuna avente un valore numerico preciso, come ghematria vuole) estensioni del sacro, per l'esattezza del Nome sacro. Le lettere alfabetiche furono dunque oggetto di alta meditazione, per lui: cercandole in ruote da far girare vorticosamente a livello mentale, si può giungere, in un afflato mistico dato a pochi eletti, alla Verità primordiale che le compone, cioè alla compenetrazione mistagogica dell'Unum da cui promanano. La mente se ne appropria, liberandosi sigillo dopo sigillo, nodo dopo nodo psichico, con gradualità propedeutica che non ci faccia impazzire. Solo pochi possono riuscirvi, e solo dietro grande allenamento. Mistica mentale medievale ebraica, oggi impensabile.
Secondo Abulafia, ogni linguaggio, al pari di note, diventa melodia, quando i suoni dei nomi, delle lettere singole, si armonizzano tra loro. Nella lingua sacra originaria, di tutto ciò si teneva conto, e non esisteva nome proprio comune che non fosse pensato, calcolato, rielaborato dall'originale, dal suono base. "Otiyyot", cioè "lettere", al plurale, significa "ciò che viene". Ma non dall'uomo; da Dio. Quando a decidere subentrò l'uomo, riguardo ogni nome e ogni parola nacque solo confusione babelica, producendo la demolizione della lingua sacra che, sempre più, perse il suo splendore musicale iniziale. Il linguaggio simbolico personale, si è da allora sempre più inasprito, rendendo la "parola" calligrafica di uno, diversa dall'altro, sia nel simbolo scritturale, ideogrammatico; sia nel suono, per cadenze e accenti derivati dalla propria origine domiciliare negli Stati del mondo; sia nel significato specifico con il quale ognuno la intende e con il quale la intesse. Io parlo, e tu cosa senti? Tu parli, e io cosa recepisco? Non esiste più bellezza originata dall'originante, solo parole inefficaci derivate da altrettante parole che hanno perso nel cammino l'essenza sacra iniziale.
Tocca al mistico, lavorando su ogni singola lettera alfabetica, ritrovare la lingua perduta, procedendo dal concreto individuale, all'astratto che è "solo di Dio" comprensibile, e non dell'umano. È questo il lavoro anche dei traduttori biblici storici; è questo l'impegno dei mistici ebraici e dei cabalisti. Da mille frantumi, ricreare l'unicità; dai frammenti, ricostruire l'autenticità. Gira la ruota, e cerca l'essenza sacra. Ogni parola che è già stata generata, e ogni altra parola che, nella trance mistica, raggiunta tra scrittura ipnotica e respiro, si formerà per "permutazione", per rotazione, per "combinazione delle altre", come diceva il mistico Abulafia, è una parola "possibile" solo in quanto portatrice in frammento, del Nome unico. Impronunciabile, incomprensibile, ma "possibile", Sua. C'era una bellissima stoffa di seta colorata, all'origine, ma fu strappata in brandelli. Perdere la possibilità di capire il linguaggio divino, di capire le singole lettere ebraiche, comprensive di suoni corretti, di armonie di numeri, di note, è stato un lento degenerare verso le realtà contingenti, smarrendo quelle trascendenti. Non esiste una parola ultima, condensativa, non ancora. Ma esiste una parola prima, generativa. A quella, è necessario ritornare.
Molti Santi, molti cristiani dei primi secoli, hanno provato a rintracciare la "potenza" della parola, cercandola senza intenti di comprensione concreta, solo come essenza, come suono, come musicalità ricca di grazia che, udita, ci avvolga nell'aura divina. Sant'Agostino praticava le sortes sanctorum, come oracoli evangelici, sebbene con le dovute cautele, aprendo a caso la Bibbia. Lo stesso faceva San Francesco: praticando la "bibliomanzia", estrasse dalla Bibbia tre frasi che divennero la sua Regola. Anche molti cristiani contemporanei, continuano a ricadere involontariamente in questi riti "sticomantici", sebbene aboliti: i frasari biblici consultati per decorare i rametti di olivo in Quaresima; i versetti estirpati a caso per il giorno della cresima dei bambini, da inserire in cartigli come i Baci Perugina....
Perchè cerchiamo le Sue Parole? Perchè ne siamo così assetati, e le trattiamo così male?
Perchè non sappiamo più vederne la Bellezza originale, quel suono carnale che ci avvolge e che ci trasfonde. Una lettera alfabetica, una parola... due... tre. Suoni "incarnati", li concepiva Abulafia. Note, letture pentagrammatiche, che esprimono l'ineffabile e l'inafferrabile. A volte non è necessaria la traduzione fedele dei segni, la traslitterazione dei simboli, la registrazione dei suoni vocalici. La lingua di Dio non è la nostra e non possiamo certo appropriarcene con le nostre facoltà umane o fonatorie. È necessario l'ascolto, l'esserci. Non è necessario capire il senso di chi ci parla. È necessario stare nelle frequenze hertz. Captare quel ronzio di ape in sottofondo, e anche meno, un ultra-suono immateriale. Guardare negli occhi chi ci ama, e ascoltare con il cuore, senza capire nulla, nulla!, di ciò che dice, ma vivendo lì, in una piccola eternità istantanea, avvolti di Amore infinito. Questo è il significato, e non quello dicibile e ri-dicibile. Non si può raccontare appieno la Parola originaria, non più; abbiamo rotto il Nome, lo abbiamo dissacrato e sbrindellato in rivoli infiniti di non-sense. Il siculo-spagnolo Abulafia, questo lo sapeva. Gli ebrei lo avevano capito. Ci sono nomi e nomi, parole e parole. Sigle, acronimi, semantiche differenziate. Abissi e incomprensioni. Mille parole, e abissi. Mille parole, e incomprensioni.
Ma ne basta una, di parola, per restituirci al mondo. Ne basta una soltanto, che è ancora capace di raccapezzare il Tutto in un Intatto divinamente "muto". Oltre le vocali masoretiche, più in là: esattamente Qui. Ogni lettera che ci appartiene, ricompone l'Unità che ci contiene. Chiama a questo, il Nome; e ci chiama esattamente per nome.

Copyright © Tindara Rasi



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