Missionari
Padre Tarcisio, con la sua eterna camicia di fuori, chinato verso la terra sabbiosa del Chaco, insegna a una ragazzina guaraní di Ipitacito del Monte ad aprire e chiudere la saracinesca di un rubinetto.
Rivedo il colore rosso arancio della manopola, il nero del tubo in pvc e l’attenzione dell’uno e dell’altra come se il “padrecito” stesse insegnando un difficile passo di danza o lei ascoltasse cose davvero importanti…
Mi trovavo davanti uno dei primi acquedotti che, con qualche chilometro di tubo acquistato in Argentina, avvicinavano l’acqua potabile ai villaggi nel sud-est della Bolivia.
Agosto 1985, all’inizio della storia che stiamo ricordando: primi passi di un progetto vitale, il Proyecto Salud.
Era la prima volta che mi recavo in Bolivia: c’erano anche il Padre Vigilio e Chiara, una giovane fiorentina laureata in chimica: lui adesso è volato lassù oltre il Cerro Grande e le vette delle Ande; lei, divenuta Piccola Sorella, vive tra i campesinos in un villaggio del Perú, oltre i 2.000 metri…
Il sogno nasceva in quei giorni; aveva alle spalle una lunga storia: quella dei guaraní come di tanti altri popoli, quella delle missioni, dei conquistadores, dei volontari…
A Firenze, come Ministro Provinciale dei Frati Minori Toscani, mi ero incontrato qualche volta, ma poi le occasioni si sarebbero infittite, con Mimmo, col Prof. Paradisi, il Dott. Bartoloni, il Dott. Bartalesi e altri giovani medici della Clinica di Malattie Infettive…
Volevano fare qualcosa… Si intuiva qualche progetto (dietro a Tarcisio bisogna molto intuire e… fidarsi), si studiavano possibilità di interventi di ricerca e di collaborazione col Proyecto Salud del Vicariato Apostolico di Cuevo…
Giorno dopo giorno si sono accumulati 25 anni di storia: di crescita, di accesso a un mondo prima quasi ignoto.
Lo abbiamo scoperto, cercato, descritto attentamente dai missionari francescani e, ancor prima dai gesuiti e amato da tutti loro come se fosse la propria casa e quei guaraní i propri familiari…
Ora, in questa storia, si coinvolgevano laici professionisti, istituzioni e volontari, studiosi e artigiani, suore e sacerdoti….
Ho visto tanti volti karay (bianchi) mescolarsi a quelli bruniti dei guaraní.
A qualche tratto del cammino ho assistito di persona…
Molte volte ho sentito raccontare di passi nuovi, di iniziative, di successi e di delusioni, di coinvolgimenti
di fedeli e di apparizioni momentanee, di impegni e di sacrifici…
Alcune persone sono state come i cardini su cui si è mossa questa storia.
La lista sarebbe lunga per dire i loro nomi o quelli di quanti vi hanno girato attorno, ma tutti hanno contribuito ad aprire la porta della speranza a quella terra del Chaco: da Kuruyuki a Santa Rosa, da Ivo a Palmarito, da Gutierrez a Villamontes, dal Rio Grande al Pilcomayo al Parapetì …
Una speranza diventata realtà, come quella danza della vita che sembrava iniziare quando una bambina imparava ad aprire un rubinetto: cominciava davvero un canto alla vita! Una speranza che si è aperta e ampliata ma che, mi pare, chieda ancora vicinanza, presenze-lievito che la animino e la aiutino a trovare conferma!
Qualche anno dopo, nella valle di Eity, il Capitan Grande di quella comunità guaraní, parlando del nuovo impianto che portava acqua potabile, fece leggere un brano del Vangelo di Giovanni, quello dove si parla della Samaritana al pozzo di Giacobbe e del suo colloquio con Gesù.
Di suo aggiunse: “Ci è giunta l’acqua, ed è importante per la nostra vita e per quella dei nostri figli … ma abbiamo sete anche dell’acqua di cui parla il Maestro!”
Quella volta era con noi anche il cardinale Silvano Piovanelli: furono parole che ci presero nel profondo, come quell’immagine dell’agosto ’85!
Missione e solidarietà, Vangelo e diritti di ogni uomo e di ogni popolo, giustizia e dono gratuito, salute e salvezza, paesi poveri e risorse …
Binomi di una danza che ha bisogno di qualcuno che si coinvolga appieno, ma anche, in qualche modo, di tutti, responsabilmente …
I tratti di strada fatti insieme, come è avvenuto nel Chaco, sono fili d’oro che reggono e impreziosiscono il ruvido, lacerato tessuto della storia.
Ringrazio Dio di esservi stato in qualche modo dentro.
Penso a tutti gli amici di questi 25 anni, specialmente alle persone-cardine che, umili, forti e costanti nella loro missione, hanno permesso al poco, che ognuno di noi portava, di diventare buona pietra da costruzione.
+ Rodolfo Cetoloni
(Vescovo di Grosseto)
Tratto dall’introduzione al libro:
Mbegue Mbegue
L’Università degli Studi di Firenze in Bolivia
25 anni di attività della Clinica di Malattie Infettive nel territorio Guaraní
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